L’Ospedale San Giovanni Bosco dell’Asl Città di Torino si conferma primo centro in Piemonte, una eccellenza italiana, per numero di interventi di chiusura percutanea dell’auricola sinistra nei soggetti affetti da fibrillazione atriale non valvolare che non possono assumere la terapia anticoagulante orale a lungo termine o nei quali questa terapia non risulta efficiente o di efficace somministrazione.
“La chiusura dell’auricola per via percutanea si è dimostrata essere una valida alternativa alla tradizionale terapia farmacologica anticoagulante a lungo termine per la prevenzione dell’ictus, che è il principale rischio in caso di aritmie come la fibrillazione atriale. Tra i pazienti che potrebbero beneficiare di questa procedura troviamo pazienti con precedenti emorragie gastrointestinali o con storia di emorragia cerebrale in corso di terapia anticoagulante, pazienti con ridotti valori di emoglobina e precedenti interventi coronarici che necessitano di una terapia antiaggregante associata, pazienti con insufficienza renale cronica o in dialisi, per i quali il rapporto efficacia[1]sicurezza della terapia anticoagulante orale è dibattuto.” – spiega il dottor Giacomo Boccuzzi, Responsabile della Struttura Semplice di Emodinamica. La fibrillazione atriale, il più frequente disturbo del ritmo cardiaco, colpisce circa l’1-2% della popolazione generale e la sua incidenza aumenta con l’età. Si calcola che circa il 3% della popolazione sopra i 60 anni e il 12% degli over 80 anni soffra di fibrillazione atriale. Nei pazienti affetti da fibrillazione atriale l’auricola sinistra (una appendice dell’atrio sinistro del cuore) perde la sua capacità di contrarsi correttamente, determinando quindi stasi ematica che permette la formazione di coaguli. I coaguli di sangue che si formano in questa sacca aumentano il rischio di ictus cerebrale e per questo è molto importante rendere il sangue più fluido – continua il dottor Boccuzzi – in generale per questo tipo di patologia si comincia con la terapia anticoagulante orale, ma una quota rilevante di queste persone affette da fibrillazione atriale risulta difficile da trattare, in particolare a causa dei sanguinamenti. In questi casi può essere effettuato un intervento di chiusura dell’auricola per via percutanea al fine di escludere la sorgente più probabile dei trombi che possono far insorgere un ictus”. La procedura di chiusura dell’auricola sinistra è una procedura transcatetere che permette di impiantare il dispositivo (protesi) nel cuore passando per la vena femorale, mediante l’utilizzo di un catetere dedicato. Il dispositivo verrà quindi posizionato e rilasciato solo dopo aver confermato la corretta posizione e la non interferenza con le strutture adiacenti. Il device andrà poi incontro ad endotelizzazione nelle settimane successive diventando parte della struttura del cuore in maniera permanente.
“L’intervento è minimamente invasivo ed il recupero è solitamente rapido e senza inconvenienti – dichiara il dott. Boccuzzi – molti pazienti vengono dimessi dall’ospedale entro 48 ore dalla procedura con l’indicazione seguire la terapia antiaggregante per un periodo variabile di 1-6 mesi. Trascorso questo periodo, questa terapia potrà essere sospesa definitivamente, soprattutto nei pazienti con rischio emorragico elevato. Il paziente viene successivamente monitorato con regolari visite di controllo“.
In Italia si effettuano ogni anno circa 1000 procedure di chiusura dell’auricola ed in Piemonte circa 150. “Nella nostra struttura eseguiamo annualmente circa 40 interventi anche grazie ad una proficua ed efficace collaborazione multidisciplinare tra specialisti. I pazienti che possono beneficiare di questo trattamento riferiscono a differenti specialità come nefrologia, grastroenterologia, neurologia, internistica e geriatria, ematologia e altre ancora. Si tratta comunque di un numero destinato ad aumentare in considerazione del numero elevato di pazienti affetti da fibrillazione atriale, anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. La pandemia non ha fermato questi interventi che anzi sono stati eseguiti regolarmente fin dalla prima ondata covid, confermando il numero di impianti effettuati nell’anno precedente” – conclude la dott.ssa Patrizia Noussan, direttore della SC Cardiologia dell’Ospedale San Giovanni Bosco