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Il Coronavirus e i suoi insegamenti

L’analisi di Emanuele Ruffino e Germana Zollesi

In periodo di emergenza si possono attuare comportamenti e azioni dettate dall’emergenza e in condizioni dove non è sempre possibile operare con sufficiente razionalità. Superata (almeno si spera) la fase emergenziale, si pone il problema di analizzare le scelte effettuate, non con un intento punitivo (tranne che si tratti di dolo) ma per capire i comportamenti assunti sotto stress e trarne insegnamento per il futuro.

L’Italia non brilla certo per alti livelli di produttività (in Europa, siamo i peggiori, in compagnia della Grecia) e la fase emergenziale non ha certamente aiutato a migliorare la situazione, in quanto i volumi di spesa sono dovuti crescere (sia nel settore pubblico che in quello privato, in primis per le misure che si sono dovute adottare per attuare le misure di sicurezza necessarie), senza un riscontro nei volumi di attività. Ma le differenze tra un’azienda e l’altra sono notevoli e dovranno essere esaminate con un’attenta analisi econometrica (si spera non con anni di ritardo, come avviene attualmente da parte degli enti deputati al controllo, con la conseguenza di rendere inefficaci eventuali azioni correttive e non di non aiutare ad individuare, in senso meritocratico, un management qualificato).

Il coronavirus, come uno tsunami, ha coinvolto tutti, in primis le aziende sanitarie che hanno dovuto posporre tutti gli altri obiettivi di fronte alla gravità della crisi, destinando strutture di alta specializzazione ad affrontare l’emergenza e rallentando ogni altro tipo di erogazione di servizi.

Ad essere sacrificate sono state anche le attività di ricerca (già da sempre cenerentola nel panorama sanitario italiano), le attività di elezione e la prevenzione della patologie cronico-degenerative, la cui non apparente urgenza li porta sistematicamente ad essere trascurate. Gli attuali sistemi valutativi delle performance aziendali solo marginalmente prendono in considerazione questi aspetti, con conseguente sottovalutazione della loro crucialità nei processi di miglioramento del sistema.  Le attività di ricerca e di insegnamento non rappresentano un optional per le aziende sanitaria, ma il core business, per offrire servizi di qualità, recependo in modo tempestivo le innovazioni scientifiche, anzi contribuendo direttamente a determinarle con un continuo scambio sinergico.

Sul piano operativo, l’impatto della pandemia è ricaduto, per la sua centralità, sulla ASL CittàdiTorino che, non solo ha retto l’impatto, fornendo adeguate risposte, ma ha gestito la fase emergenziale senza compromettere gli equilibri di bilancio e contendo al minimo gli aumenti di costi del personale, attraverso un uso oculato delle risorse e con il sacrificio di molti, a cominciare dal suo Direttore Generale che ha dedicato la domenica a somministrare vaccini, a testimonianza di come la crisi si affronta sia con capacità manageriali, sia con l’impegno quotidiano.

Con serenità d’animo e con criteri scientifici, bisognerà valutare i comportamenti delle diverse strutture sanitarie per accrescere le conoscenze sulla funzionalità del sistema nel suo complesso, analizzando in particolare le cadute di produzione delle singole aziende e l’attivazione di tutte le misure preventive a tutela dei dipendenti e degli assistiti, associate agli aumenti dei costi, sperando di trovarvi sempre una correlazione.

I problemi valutativi in ambito sanitario non si presentano certamente facili da risolvere. Il pericolo infettivo ha fatto si che la produzione di pressoché tutti i servizi, ha dovuto contrarsi per la necessità di rivedere i protocolli di sicurezza attuate per ridurre al minimo le possibilità di contagio (annullarle è impossibile e solo uno spirito da Tomás de Torquemada può illudersi di contrastarli solo con un’azione repressiva). Nel valutare il calo di produttività, non ultimo va considerata l’ansia e le paure che hanno interessato tutti gli operatori, rallentandoli nelle loro operazioni quotidiani con un inevitabile impatto sui tempi di esecuzione.

Specie nella prima fase della Pandemia la situazione in cui erano costretti ad operare i professionisti impegnati, si presentava alquanto frustrante, non solo per le difficolta oggettive, ma per la confusione dei messaggi lanciati da chi avrebbe dovuto fornire linee guida affidabili. Ciò esalta ancor più il ruolo manageriale di chi ha operato scelte oculate, rispetto a chi ha cercato semplicemente di rispettare formalmente i dettati burocratici, spesso non sincronizzati con le nuove situazioni che si sono venute a creare. Anche sotto questo profilo occorre ricordare come il livello di burocratizzazione raggiunto dal nostro sistema è tra i elevati in Europa (come rilevano i rapporti dell’Eurobarometro dell’Unione Europea).

Il coronavirus ha messo in luce alcune vecchie fragilità del nostro sistema ed ha accresciuto la consapevolezza che solo con una riformulazione normativa (volta alla semplificazione e comprensione delle regole da attuare) e un elevato livello manageriale (la cui indispensabilità è dettata dalla complessità implicita nel governo della “cosa sanitaria”) permetterà di superare la crisi e restituire funzionalità al sistema.

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Redazione: Claudio Risso: Direttore Responsabile --- Gian Paolo Zanetta: Direttore Editoriale --- Federico Dolce ---

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