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La sanità alla prova dei green pass

La volontà del legislatore ha voluto imprimere un’accelerazione nei controlli al fine di poter ritornare alla normalità, ma nei paesi degli azzeccagarbugli, tutto diventa più difficile: se di mezzo c’è la salute il problema va affrontato con le massima serietà e tempestività. E così le aziende sanitarie piemontesi si stanno coordinando e organizzando per mettere a punto sistemi di controllo che soddisfino il dettato e lo spirito della norma, senza però compromettere la funzionalità del sistema.

Un rompicapo non facile da risolvere e che deve adeguarsi al sistema normativo, già di suo farraginoso e complesso. La norma prevede pesanti sanzioni a chi prova ad entrare in una struttura sanitaria, sia esso operatore o accompagnatore, in violazione delle norme (il paziente bisognoso di cure non può essere rifiutato dalla strutture in ossequio all’art 32 della Costituzione, che assicura le cure a tutti gli individui).

La norma però prevede che le aziende operino controlli, in primis sui loro stessi dipendenti, per verificare il possesso di un green pass valido: e se la validità si riduce a 48 o 72 ore il problema si fa complicato.

La norma prevede che i controlli non comportino ulteriori costi (gli assembramenti e i congestionamenti stradali con le limitazioni allo smart work saranno inevitabili), ma non avendo aumentato l’orario di lavoro di chi deve controllare (i datori di lavoro) inevitabilmente ciò diminuirà ulteriormente la produttività (e l’Italia è già agli ultimi posti in Europa).

Un dilemma perché bisogna conciliare la necessità di garantire la presenza negli ospedali solo di personale che garantisca il non contagio (ossia lavoratori che dispongono del green pass valido), assolvere al dettato burocratico della norma, assicurare il servizio sanitario. Gerarchizzando gli interventi, quest’ultimo appare prioritario, ma non può e non deve escludere gli altri. Nella pratica risulterebbe drammatico chiudere alcuni servizi sanitari che metterebbero a repentaglio la salute degli individui, ma senza la disponibilità di una parte del personale la continuità nell’erogazione dei servizi può essere compromessa. Non si tratta solo del personale sanitario (in gran parte vaccinato e di cui si ha conoscenza di quello non vaccinato, per cui diventa possibile, anche se difficoltoso, organizzare soluzioni alternative), ma di tutti quegli operatori la cui utilità risulta indispensabile, già nel breve periodo, per assicurare il funzionamento delle strutture.

Il problema era già conosciuto, in quanto all’inizio del lock down si era pensato di chiudere tutte le attività non indispensabili e poi si erano dovute riaprire, ad esempio le fabbriche che producevano la colla, per non far mancare i rifornimenti a chi era impegnato a produrre mascherine (il concetto di filiera produttiva non è ancora stato assimilato). La storia si ripete ed il 15 di ottobre le aziende sanitarie dovranno controllare tutti i loro dipendenti e tutti gli operatori che entreranno in ospedale ed allontanare immediatamente chi sprovvisto di green pass (anche se solo dimenticato a casa, nonostante che le aziende sanitarie conoscano chi è stato sottoposto a doppia dose di vaccino tra i propri dipendenti!).

Più complesso è il caso in cui ad essere sprovvisti sono operatori esterni la cui presenza è però indispensabile per il funzionamento degli ospedali: si pensi, ad esempio, agli informatici che assicurano il funzionamento dei software delle apparecchiature elettromedicali, gli addetti alle pulizie (solo per citarne alcuni). Nella realtà quotidiana le aziende dovranno scegliere tra il rispetto dell’ultima produzione normativa e la necessità di garantire i servizi. Speriamo prevalga il buon senso.

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