La demenza senile è una patologia che progredisce con l’età: l’incidenza aumenta esponenzialmente con il crescere dell’età, dal 5-8% negli ultra sessantacinquenni, al 20-30% tra chi supera gli 80 anni. Ma a preoccupare è anche il coinvolgimento di chi si prende cura di questi soggetti per la costante necessità di assistenza. Se in passato, l’anziano rappresentava un concentrato di saggezza e di esperienza e, quindi, costituiva un’indispensabile risorsa per molte famiglie e quelli con problemi mentali, in un contesto privo di internet, televisori e radio, forniva una nota di colore originale per uscire dalla monotonia, oggi la presenza di un soggetto con deficit cognitivi rappresenta un problema per chi è chiamato a prendersene cura. È questa la problematica studiata nel convegno dal titolo “Il paziente con la demenza e il suo caregiver” organizzato il 29 settembre, dalla Geriatria dell’ospedale San Luigi dove il dr Fantò e la Dr Santoro e le psicologhe, Tullia Spezial e Katia Olocco e tutta l’equipe da sempre s’interessano anche delle complicanze psicologiche e sociali, oltre che cliniche che la patologia comporta.
La demenza può essere definita come una sindrome clinica caratterizzata da grave compromissione delle facoltà intellettive, ivi compresa la memoria e dove le funzioni cognitive, che comprendono tutti i processi attraverso i quali un individuo percepisce, registra, mantiene, usa ed esprime informazioni, vengono seriamente compromesse.
Trattasi di una condizione clinica caratterizzata da un’alterazione globale delle funzioni corticali superiori: memoria, orientamento attenzione, concentrazione comprensione ed emozioni. Queste funzioni ci permettono di relazionarci con il mondo esterno e un loro deficit può interferire gravemente con le attività sociali relegando il soggetto in un suo mondo, scollegato con la realtà che lo circonda. Se nella sua fase inziale, precisa il Prof. Fantò, la demenza comporta un deficit di memoria e di orientamento, con una perdita di iniziativa e disturbi dell’umore, con il suo progredire si registra un aggravamento dei disturbi cognitivi, deficit funzionali, disturbi comportamentali, alterazione sonno-veglia e, nella fase avanzata, comporta una completa dipendenza nelle attività quotidiane ed una serie pressoché infinita di complicazioni cliniche.
I costi che questa patologia comporta nei Paesi occidentali è enorme: si stima 1 trilione di dollari/anno, rappresentando il 1.4% del PIL nei paesi ad alto reddito. Un calcolo preciso è difficile da effettuare in quante una minima parte il 27% circa è rappresentato da costi diretti (farmaci, ricoveri, servizi, assistenza formale, ausili, ricoveri in RSA, ecc), il resto è costituito da costi indiretti che raramente presentano una manifestazione numeraria, in quanto sono costituite da tanti piccoli sacrifici sopportati dalle famiglie (l’80% dei pazienti viene seguito al proprio domicilio) e dai caregiver (si stima in 3 milioni di persone coinvolte, a avario titolo, nelle cure dei pazienti con demenza), che possono superare i 70.000 € per paziente all’anno.
Le dimensioni del fenomeno comportano uno studio interdisciplinare che coinvolge oltre ai clinici, gli psicologi, i sociologi gli economisti e soprattutto le forze del volontariato chiamate sempre più ad offrire un loro contributo. Il perno dell’assistenza ai pazienti affetti da demenza senile è offerta dai caregiver (fornitori di cure) ossia quelle persone, con diversissimi gradi di preparazione, che assumono il ruolo di responsabile attivo della presa in carico, cura e assistenza della persona malata non autosufficiente. Sono in primis i familiari, il 50% circa (ma in decrescita: erano il 53,4% nel 2006 ed oggi sono scesi al 48,6%), mentre cresce costantemente il numero di badanti (per il 95,7% donne, di cui solo 8% italiane). Ai caregiver viene richiesta sia un’assistenza diretta (attività rivolte al paziente) sia un’attività di sorveglianza e di supporto per ogni incombenza burocratica in capo ai soggetti malati.
Compito non facile e che mina la salute psicologica e fisica di chi si prende cura: i caregiver si ammalano più spesso (21,9%), consumano più farmaci (20%), manifestano segni di spossatezza (87,3%), presentano disturbi del sonno (43,1%) e soffre, chi più chi meno, di depressione. Un problema che non può essere sottovalutato e che richiede uno sforzo collettivo per non lasciare le famiglie abbandonate.